lunedì 16 dicembre 2019

Bambini e palcoscenico

Sull'argomento delle esibizioni dei bambini sento spesso pareri discordanti e controversi. 
Maestre, psicologi, educatori, genitori pensano che chiedere ai bambini di esibirsi in pubblico possa essere sbagliato e non rispettoso dei "loro tempi", e molti genitori ricordano con terrore i "saggi" di danza, chitarra e pianoforte in cui da bambini sono costretti ad esibirsi, desiderando solo che l'esperienza potesse finire al più presto.



Intanto, come ho già spiegato in un altro post (http://musicaegioia.blogspot.com/2018/12/la-differenza-tra-recita-o-saggio-e.html), quelli che faccio fare ai miei allievi non sono "saggi" nè tantomeno "recite", ma veri e propri concerti in cui piccoli musicisti condividono la loro arte con altre persone senza dover dimostrare niente a nessuno e senza "esibirsi" in alcun modo, ma suonando solo per la gioia di fare musica e di trasmetterla agli altri.



Poi noto quanto purtroppo sia ancora radicata l'idea di un'educazione basata sulla punizione: obbligare, costringere, forzare...

invece non si tratta di fare nulla di tutto questo, ma di motivare.

Motivare significa suscitare la voglia di fare una determinata cosa trasmettendone gli aspetti positivi e quindi rendendola, di per sè, bella, desiderabile.

E qui arriva un'altra obiezione: " ma se un bambino non ha voglia, non se la sente, ha paura, non sarebbe meglio non farlo suonare?"

Per quanto mi riguarda, non esiste che un mio allievo non suoni ad un concerto. Eppure ho ed ho avuto allievi non solo con difficoltà importanti, disabilità, autismo, ma anche con disturbi d'ansia, attacchi di panico, fobia sociale, tutte caratteristiche che cozzano un po' con il fatto di trovare a fare qualcosa in una sala gremita di persone. Ma, nonostante questo, tutti, e dico tutti, hanno sempre suonato ai miei concerti.

Li ho forzati? No, mai. Li ho motivati, supportati, incoraggiati, incentivati. Ho lavorato con loro sugli aspetti emotivi, comportamentali e psicologici connessi ad un'esperienza simile- come sa chi segue queste pagine, sono anche Psicologa e tecnico del comportamento, quindi ho competenze specifiche per farlo- ed ho fatto in modo che gradualmente tali eventi arrivassero ad essere anche per loro piacevoli, divertenti ed addirittura desiderabili.

Infatti loro suonano dovunque!! Ecco alcune allieve, dopo un concerto, al ristorante!

Perchè? Perchè sono convinta che evitare ai bambini ogni minima frustrazione non sia positivo nè educativo. Un concerto non può e non deve essere un'esperienza per loro negativa e traumatica, ma una minima quota di ansia e di preoccupazione è normale e quasi auspicabile, perchè insegna l'importanza e la serietà di certe situazioni.

Tutti quando vorrebbero fare bene qualcosa provano preoccupazione ed a volte anche paura, ma l'importante è insegnare ai bambini a tollerare queste emozioni, viverle, "sosternerle" ed affrontarle, perchè poi saranno fieri ed orgogliosi di ciò che sono riusciti a fare, e la loro autostima ed autoefficacia (la convinzione di poter fare qualcosa) ne usciranno rafforzate.


Anche per noi adulti funziona così.  Se continuiamo a fuggire da qualcosa che ci fa paura, il nostro evitamento verrà rinforzato e diventerà parte di noi. Se, al contrario, riusciamo ad uscire dalla nostra zona di comfort e metterci alla prova, impareremo che quella cosa non è così difficile che ci sembrava, e capiremo di essere in grado di fare cose fantastiche!

Per i bambini il meccanismo è esattamente lo stesso, quindi perchè non incoraggiarli, dando un valore prima di tutto educativo ad un concerto e sottolineando le emozioni positive, l'entusiasmo, il divertimento e la felicità che un'esperienza di questo tipo può regalare?

Prima di tutto, però , dobbiamo crederci noi adulti, perchè sarà grazie a noi che potrà esistere la differenza tra una situazione potenzialmente negativa ed invece un'esperienza indimenticabile per un bambino.

Un momento esilarante del concerto di Natale 2019!


sabato 14 dicembre 2019

Le dimensioni del violino

In base alla mia esperienza di insegnamento posso affermare che, molto spesso, la dimensione del violino per i bambini è ciò che fa la differenza tra un percorso di apprendimento di successo ed uno fallimentare.

A differenza di quanto avviene nel metodo Suzuki, infatti, nel metodo tradizionale questo è un aspetto che purtroppo non viene tenuto in considerazione, non so per quale motivo. Non so se gli insegnanti non lo ritengano importante, se non sappiano dell'esistenza di violini a misura ridotta - temo che spesso sia così- o se non si rendano conto di quanto sia importante per un allievo, soprattutto all'inizio, avere uno strumento della misura adeguata.



In passato, anch'io non sapevo che esistessero strumenti molto piccoli, perciò facevo suonare di default ai miei allievi di 3 anni un violino da 1/8, causando loro difficoltà nell'impostazione e nella gestione dello strumento.

Oggi, invece, utilizzo normalmente strumenti da 1/10, 1/16, 1/32 e addirittura 1/64! A seconda delle esigenze e delle dimensioni fisiche dei miei piccolini.

Thomas, 2 anni, suona un violino da 1/64



Avere un violino della dimensione giusta, infatti, non è solo un "plus" o uno sfizio, ma è fondamentale per molte ragioni : aiuta ad apprendere l'impostazione giusta, favorisce una postura corretta e quindi evita problemi posturali, dolori di schiena, problemi al collo, alle braccia o alle mani, migliora la qualità nell'emissione del suono e permette di ottenere un'intonazione più precisa senza dover allungare o ruotare eccessivamente il braccio sinistro o alzare troppo e contrarre la spalla destra.

Sofia, quasi 5 anni, utilizza un violino da 1/16


Nell'impostazione di base, quindi, la scelta dello strumento adatto è un passaggio imprescindibile e che a mio parere non andrebbe sottovalutato.

Per misurare il violino si deve chiedere al bambino di metterlo in posizione sulla spalla ed allungare il braccio sinistro fino a prendere in mano il riccio : se il dito medio riesce ad avvolgerlo, la misura è quella giusta.

Anche se bisogna considerare anche altri fattori, quali la costituzione fisica (se un bambino è fisicamente debole, non ha senso dargli un violino grande e pesante prima che riesca a gestirlo), la lunghezza delle braccia ed anche della mani e delle dita in rapporto all'altezza (nei miei allievi disabili questo è un aspetto da tenere presente spesso) e l'età dell'allievo.

Personalmente, tendo a lasciare i miei allievi con uno strumento piccolo il più a lungo possibile, finchè non diventa troppo piccolo in modo evidente, come nel caso di Rebecca:



Appena è passata alla misura successiva (1/10), infatti, pochi giorni dopo questa fotografia, Rebecca si è sentita subito più comoda ed a suo agio ed ha mostrato una maggiore facilità sia nell'intonazione sia nella produzione di un suono più potente.

Tuttavia, la mia decisione di posticipare il cambio dello strumento le ha permesso di consolidare sia l'impostazione sia i brani di ripasso su un violino che suonava già da tempo e non le ha creato problemi posturali o tendiniti.

Di base, come ho detto, non sono favorevole all'utilizzo di strumenti troppo grandi, ma credo che anche in questo esistano delle eccezioni: qualora uno strumento piccolo non permetta al bambino di produrre un suono di buona qualità, posso pensare di farlo passare alla misura superiore con qualche settimana o mese di anticipo per incentivare la sua motivazione, ma solo nel caso in cui l'allievo abbia un repertorio che giustifichi questa scelta.

La mia allieva Francesca, ad esempio, è passata recentemente all'1/8, che è un po' lungo per lei, ma, dato che sta studiando i Minuetti di Bach, sentivamo entrambe l'esigenza di poter lavorare meglio sulla qualità del suono, sui colori e sull'intepretazione, cosa che un violino più piccolo non ci avrebbe permesso di fare; inoltre la sua impostazione è molto buona e sapevo che anche con uno strumento più grande non sarebbe regredita :



Maria, invece, all'inzio degli studi usava l'1/8, ma, quando ha iniziato a suonare con le dita della mano sinistra, mi sono accorta che il violino era troppo lungo, allora è passata alla misura inferiore, 1/10, per diversi mesi:

Violino da 1/8

Violino da 1/10

Talvolta capita, invece, che i genitori premano per passare prima del dovuto a strumenti più grandi, in parte per ragioni economiche, per non dover comprare più strumenti in pochi anni, in parte per l'"orgoglio" di vedere il proprio figlio che suona con un violino "da grandi".

In questi casi, come consigliano alcuni insegnanti che ho incontrato, si può fare l'esempio delle scarpe: come un genitore non comprerebbe mai a suo figlio un paio di scarpe di due misure più grandi, così non ha senso che acquisti uno strumento troppo grande.



Parlando sempre di repertorio, penso che, nel caso di bambini piccoli ad un livello tecnico molto avanzato, un determinato repertorio giustifichi il ricorso a strumenti grandi.

Se un bambino di 6/10 anni suona, ad esempio, concerti di Mozart, concerti romantici o brani virtuosistici, è comprensibile che lo faccia su un violino adeguato a tale repertorio, che possa avere un potenza di suono ed una versatilità che un violino più piccolo non potrebbe avere.



Ma in tutti gli altri casi continuerò a pensare che sia meglio valutare attentamente la misura dello strumento, avendo in mente prima di tutto l'influenza che l'impostazione di base può avere sullo sviluppo successivo di un piccolo violinista.

venerdì 6 dicembre 2019

Piccoli violinisti crescono: diventare grandi in musica

Le mie primissime allieve, che hanno studiato musica con me tra il 1999 ed il 2001, oggi sono donne adulte. Fa uno strano effetto pensarci, ma in effetti ho iniziato ad insegnare "non ufficialmente", quindi a casa mia ed a pochi bambini, ben 20 anni fa, a 16 anni.

Poi per alcuni anni ho rallentato, perchè ero concentrata sul mio percorso di studi (liceo, conservatorio, università e prime esperienze di lavoro come educatrice), ed ho ripreso con regolarità quasi 10 anni dopo, nel 2009.

Alcuni dei miei allievi di quel periodo

Oggi, nel 2019, continuo ad insegnare, attualmente solo violino e propedeutica, a bambini dai 12 mesi in su, e mi gratifica molto vedere quanta strada abbiano fatto alcuni allievi che studiano con me da diversi anni, da quando, in realtà, ero un'insegnante molto diversa da ora.
Ma è bellissimo vedere il loro percorso, registrare i loro progressi e vedere come stanno crescendo, giorno dopo giorno, insieme al loro strumento, con impegno, spesso anche fatiche e difficoltà, ma soprattutto grande gioia e reali soddisfazioni.

Ecco Sara all'inizio del suo percorso con il violino:



Ed eccola oggi!






Pietro a 3 anni:



Ed oggi, a quasi 6 anni, con il violino:





Noemi ad appena 4 anni :



E Noemi oggi:





Riccardo meno di due anni fa :



E qui lo vediamo oggi!



Iris piccolissima!! A 2 anni:



A 4 anni e mezzo:


Ed oggi!



Rebecca a 3 anni:



E adesso, a 5 anni:



Francesca a 4 anni :



E adesso, a 6 anni :



Questi allievi hanno fatto davvero tanta strada, talvolta anche in pochissimo tempo, e continuano con volontà, passione ma soprattutto tanto lavoro... chissà come saranno e come suoneranno tra qualche anno... vi terrò aggiornati! Voi continuate a seguirli su queste pagine!

Iris a due anni....
Ed oggi

venerdì 29 novembre 2019

Insegnare ai bambini : amore o professionalità?

Pur avendone già parlato più volte sul blog, mi piacerebbe riprendere questo argomento facendo esempi pratici del mio pensiero e della mia opinione al riguardo.

Quando si parla di insegnamento ai bambini, ancora più se a bambini con disabilità, spesso ci si appella allo stereotipo dell' "amore che può tutto", affermando che l'amore sia un aspetto indispensabile ed imprescindibile per fare questo lavoro.
"I bambini hanno bisogno di amore", si sente dire, ed ancor più spesso "I bambini disabili hanno bisogno di amore". Frasi di questo tipo fanno molta presa sull'ascoltatore, o sul lettore o sullo spettatore, e trasmettono un'idea da una parte del "povero bambino che soffre" e quindi ha bisogno di qualcuno "che lo faccia sorridere" e, dall'altra, dell'insegnante, la maestro, lo psicologo o il medico "eroici", che hanno fatto del loro lavoro una "missione" per "salvare quei poveri bambini".



Personalmente mi viene così difficile ritrovarmi in queste frasi da doverle scrivere tutte tra virgolette, proprio per distanziarmi il più possibile da concetti simili!
Sì, perchè, a mio parere, i bambini NON hanno bisogno di amore. A meno che un bambino non sia gravemente trascurato, ma si tratta di casi limite e, per fortuna, non così frequenti, nella sua vita ha già molto amore, da parte dei genitori, dei nonni, dei parenti, magari dei fratelli... e pensare che se un bambino ha difficoltà o una disabilità, allora riceva per forza meno amore, non ha senso neppure a livello logico. Infatti tutti i genitori amano i propri figli, ed il fatto che il figlio abbia o no difficoltà non cambia questa realtà, ad eccezione appunto di situazioni limite e di gravi problemi famigliari.
Quindi abbiamo appurato che i bambini l'amore ce l'hanno già.
E la felicità? Beh, che ci crediate o no, hanno già anche quella. I bambini sono quasi tutti piccole persone molto felici e capaci di godere della vita come noi adulti non sappiamo più fare. Ed anche i bambini disabili lo sono, e sorridono, sono allegri e pieni di entusiasmo per la vita e per le piccole cose, come tutti i bambini. Il fatto di avere alcune difficoltà ed una vita talvolta complicata non impedisce loro di essere felici, anzi.



Quindi forse sarebbe ora di accantonare l'idea romantica dell'insegnante che "ama"i bambini, perchè non è l'amore che fa la differenza. Vi faccio qualche esempio.

Se, durante una delle mie lezioni, un bambino iniziasse a piangere o a lamentare dolori fisici inesistenti, o molto amplificati, per evitare di svolgere il compito richiesto - ad esempio, accusando il tipico "mal di pancia da inizio scuola"-, se io lo amassi come una madre mi preoccuperei per lui e risponderei immediatamente alle sue richieste, se  non altro per un bisogno innato di proteggere mio figlio, pur sapendo che potrebbe non avere un dolore reale.
Capite che, invece, da insegnante, se rispondessi in questo modo ad ogni richiesta di attenzione da parte di un bambino non riuscirei ad insegnargli nulla, e passerei gran parte dell'ora senza farlo lavorare e quindi senza ottenere niente dal mio lavoro.

Stessa cosa con abbracci, baci e coccole... perchè "l'amore" si manifesta così, ma siamo sicuri che un bambino abbia bisogno di questo da parte di un'insegnante?

Oppure le regole: un genitore, o qualcuno che ama il bambino come se lo fosse, prova spesso emozioni negative nel far rispettare le regole a suo figlio, ed il senso di colpa è assolutamente normale, anche se ovviamente andrebbe gestito, ma la fatica nel farlo è comprensibile.
Così' come la fatica nel gestire le proprie emozioni, sia positive sia negative, che quando si ama qualcuno sono difficili da controllare, spesso prendono il sopravvento e ci fanno sentire nervosi,arrabbiati, stanchi, oppure talmente innamorati del nostro bambino da non riuscire ad essere fermi con lui.



Attenzione, però! Non sto dicendo che un professionista che lavora con i bambini debba essere freddo e distaccato, anzi, l'empatia, il coinvolgimento e l'intensità emotiva in ciò che si fa sono indispensabili, ma devono essere gestiti, controllati e calibrati, in un modo in cui, ad esempio, un genitore non farebbe mai.

Se un giorno sono stanca o arrabbiata per motivi personali i miei allievi non devono saperlo nè accorgersene, non posso scaricare su di loro le mie emozioni, ma è mio dovere come professionista trasmettere loro solo emozioni positive.

Se, allo stesso modo, un allievo in un certo momento suscita in me reazioni di stanchezza, noia o frustrazione (càpita a tutti qualche volta), non posso reagire in modo incontrollato ed arrabbiarmi con lui, perchè questo non porterebbe a nulla, se non ad un fallimento sia della lezione specifica sia, a lungo termine, del mio rapporto con lui.
Anzi, è fondamentale per me riconoscere queste emozioni, capire perchè le provo e tentare di modificarle cambiando alcuni elementi della lezione,del programma o alcuni miei comportamenti.

Voi penserete "Eh, ma non è mica facile!" Ma è proprio per questo che continuo a sostenere l'importanza della professionalità nell'insegnamento e, più in generale, nelle professioni a contatto con i bambini. Io sono anche Psicologa  e mi ci sono voluti anni di studio, esperienza ed anche lavoro su me stessa per riuscire a tenere sotto controllo questi aspetti.

Nessun aspetto dell'insegnamento ai bambini piccoli e disabili è semplice. Ma continuo a non capire perchè quando si parla di professioni più "riconosciute", quali quella del medico,l'avvocato, l'architetto o simili, la preparazione sia data per scontata - chi si affiderebbe ad un medico senza laurea o senza esperienza?-, mentre quando si tratta di insegnamento non sia affatto così automatico pensare che un insegnante debba essere competente e preparato al livello più alto possibile.



Quindi no, io non dò amore ai miei allievi.
Do' loro tantissimo altro, ma del mio amore non se ne farebbero nulla.
Sto bene con loro, amo il mio lavoro, mi diverto e li faccio divertire, cerco di essere piacevole, sorridente e spontanea, perchè altrimenti se fingessi di essere la persona che non sono non sarei autentica, e loro lo percepirebbero subito. Quindi sono spontanea con loro come la sono nella vita, non sono una persona diversa.
Ma, d'altra parte, non sono nè la loro mamma nè un'amica, e voglio che questo sia chiaro.
Con me le regole ci sono e si rispettano, così come è presente il rispetto sia mia verso di loro sia loro nei miei confronti. Li riconosco come persone capaci e uniche e loro fanno lo stesso con me.

Ma tutto questo non è amore. E' professionalità e voglia di svolgere il proprio lavoro con la maggiore competenza, passione ed il miglior risultato possibile.


Come insegnante, anche se molto "part-time" (mediamente due ore a settimana), so di essere responsabile del loro futuro, e cercare di migliorare il loro futuro attraverso l'apprendimento è il mio obiettivo principale.






venerdì 22 novembre 2019

Le bambine de La Musica è Gioia

ARTEMISIA, 3 ANNI
INES, 7 ANNI
NOEMI, 8 ANNI
REBECCA, 5 ANNI

GIULIA, 4 ANNI

ALESSANDRA, 10 ANNI

MARIA, 7 ANNI



Fotografie di Margherita Garavana

giovedì 17 ottobre 2019

Stefano e Sofia : crescere insieme con la musica

Stefano e Sofia sono due gemelli di quasi 5 anni, che hanno iniziato il loro percorso musicale un anno fa. O meglio, l'anno scorso veniva a lezione solo Stefano, ma, dato che anche Sofia mostrava interesse per la musica, la loro mamma, Simona, l'ha coinvolta da subito nel ripasso a casa e le ha insegnato lo stesso programma del fratello, così hanno imparato entrambi, ed oggi seguono le mie lezioni insieme.




Stefano rientra nello spettro autistico, è un bambino estremamente brillante e con una eccezionale velocità di apprendimento, ma anche Sofia la è. 

Perchè Simona è una mamma eccezionale, che li segue molto, li stimola tantissimo e sa motivarli, farli appassionare e sviluppare il loro naturale desiderio di apprendimento, in ogni campo e non solo nella musica, con dedizione ed entusiasmo.

Per quanto riguarda lo studio del violino, i due bambini si trovano quindi nel contesto ideale, in cui la musica viene proposta come attività quotidiana, inserita nella loro vita di tutti i giorni con naturalezza, allegria ma anche impegno e serietà, senza rimanere confinata solamente all'ora di lezione con me.

Qui vediamo Stefano durante lo studio a casa, prima di un esercizio di lettura ritmica, poi di un brano al violino :






E' meraviglioso vedere la capacità di Simona di supportarlo e guidarlo al momento giusto, lasciandolo anche però fare da solo e rinforzando ogni tentativo corretto.

Complimenti!!

Eccoli entrambi al violino :



Stefano è anche seguito con un intervento di analisi applicata del comportamento (ABA), e, dato che ha un forte interesse per i numeri e, più in generale, per i simboli, utilizziamo questa passione per motivarlo ad apprendere la lettura ritmica, nella quale come potete vedere ha già competenze avanzate per la sua età.

Entrambi i bambini svolgono con molto entusiasmo anche il programma CML, come si vede in questo video della canzone Mi preparo per il tuffo, per l'apprendimento delle scale :



Recentemente abbiamo iniziato a lavorare con il violino sui cambi di corda, ed anche quando suonano insieme sono tutti e due davvero precisi ed attenti, sia nell'impostazione sullo strumento sia nell'esecuzione degli esercizi:






Bravi!!

Il prossimo passaggio sarà l'impostazione delle dita della mano sinistra, per la quale sono già pronti:




Sono molto orgogliosa di tutti i miei allievi per la costanza, la determinazione e l'impegno con cui affrontano il loro percorso musicale insieme alle loro famiglie, ma nel caso di Stefano e Sofia posso proprio dire che è stupendo vederli crescere insieme grazie alla musica, e sono sicura che questo sia solo l'inizio!

martedì 15 ottobre 2019

Lo studio di uno strumento : quali sono gli aspetti che contano davvero?

Quando si tratta di uno strumento musicale, i progressi non si definiscono solo in base al numero di pezzi imparati, ma anche e soprattutto in base ai miglioramenti tecnici, ad una maggior precisione nell'impostazione, nell'intonazione, nella qualità del suono e nell'esecuzione dei brani. 

Per un approfondimento su questo tema, vi rimando ad un mio articolo sul Priority teaching, che è stato pubblicato anche sulla rivista A Tutto Arco n.16/2019 : https://musicaegioia.blogspot.com/2018/09/priority-teaching-per-insegnare-ed.html


Sara, mia allieva autistica, ne è un esempio: ultimamente è in costante miglioramento nella qualità del suono e nel controllo dell'arco. Sull'impostazione stiamo ancora lavorando, ma i progressi ci sono e lei studia e si impegna. Sara ha iniziato il suo percorso musicale con me con il corso di propedeutica a 4 anni e mezzo oggi ne ha quasi 13 e continua ad imparare con la stessa passione e determinazione.

Qui vediamo una sua esecuzione di una variazione di Bella Stella ad 11 anni (Febbraio 2018) :




E qui, sempre di Suzuki, Song of the wind, eseguito durante la scorsa lezione (Ottobre 2019):




Dal confronto possiamo notare i risultati raggiunti da Sara negli aspetti tecnici e nella qualità dell'esecuzione,  nell'intonazione, e nella presa dell'arco, che è in via di miglioramento.


A mio parere, nel percorso di studio strumentale questo è ciò che conta davvero. 
Se si punta alla massima precisione, al miglioramento continuo ed all'apprendimento dei brani ad un livello sempre più alto, la pratica strumentale diventerà qualcosa di veramente importante per i bambini ed i ragazzi, qualcosa che lascerà un segno reale e duraturo nelle loro vite.
Se, invece, viene insegnato loro a suonare più brani possibili senza approfondirne nessuno, nella loro esperienza con lo strumento ci sarà sempre un "pezzo mancante" ed un aspetto di superficialità.

Nel caso di allievi con una disabilità, questo è ancor più vero, perchè, spesso, i loro tempi di apprendimento sono più lenti di quelli dei loro coetanei neurotipici, ma questo non impedisce loro di migliorare, lavorare con un obiettivo di continuo progresso e di crescita musicale e personale.





venerdì 4 ottobre 2019

Bambini troppo impegnati : perchè fare troppo non serve?

Una tendenza genitoriale degli ultimi anni vuole che si facciano svolgere ai figli più attività possibili. Penso che sia iniziata da diversi anni, ma, invece osservarne una diminuzione, io la vedo in crescita.
La piscina è imprescindibile, perchè, si sa, "il nuoto fa bene", poi almeno un altro sport, così il bambino ha possibilità di scegliere, poi la musica, perchè tutti i bambini sono reattivi alle sette note, poi l'inglese, perchè è importante che lo sappiano nella vita, poi altre attività artistiche, corsi di pittura, teatro, o laboratori in cui si legge ai bambini piccoli, perchè è fondamentale stimolare fin da piccoli la passione per la lettura, ed infine magari un'altra lingua o un altro sport amato dal genitore... e lo yoga.... perchè, avendo tutti questi impegni, il bambino poi avrà bisogno di rilassarsi!

E c'è anche la scuola, che oggi è sempre più spesso a tempo pieno, ma, non contenti di far lavorare i bambini tutti i giorni 8 ore, gli insegnanti assegnano anche compiti tutti i pomeriggi e nei weekend, come se fosse impossibile per un bambino imparare qualcosa facendolo "solo" 8 ore al giorno....

Insomma, i bambini di oggi sono sempre più stimolati, impegnati e subissati da agende pienissime di impegni uno dopo l'altro, senza avere il tempo di fermarsi a giocare, riflettere o semplicemente annoiarsi.

Premesso che io non sono contraria allo stimolare i bambini, anzi, penso che i piccoli abbiano un'inesauribile voglia di apprendimento e conoscenza e che questa vada incoraggiata, mi sto accorgendo però di quanto, a volte, fare troppo non sia positivo. Non si tratta tanto di stancarli troppo, perchè i bambini hanno molte energie sia fisiche sia cognitive (pediatri e maestre, invece, hanno spesso questo timore che il bambino "si stanchi troppo"), quanto di non lasciare loro il tempo per impegnarsi davvero in nessuna attività, dovendone svolgere molte in modo affrettato e superficiale, e di non trasmettere loro il valore del tempo.

In un mondo che va sempre più di fretta, in cui tutto è veloce, immediato e tutto deve essere fatto ed ottenuto subito, svolgere tante attivià va proprio in questa direzione. Un'ora di qua, un'ora di là, finito un corso si corre subito all'altro, finita la scuola si corre a casa a fare i compiti,finiti i compiti via agli allenamenti, poi la cena, a dormire e la mattina dopo si ricomincia. E tutto questo anche alla scuola dell'infanzia, quando i compiti ancora non ci sono, allora si praticano persino più attività.



Da grandi, portare avanti più impegni può essere anche positivo, perchè la capacità di organizzazione è sicuramente una competenza utile sia nella vita sia nel lavoro, ma riempire un bambino di cose da fare, senza dargli il tempo di soffermarsi su nessuna, di approfondire, o anche di spendere parte del suo tempo nel gioco libero, o in inziative autonome, magari all'aria aperta, o con gli amici, o imparando lui stesso ad organizzare il suo tempo, non lo aiuta e non lo favorisce.

Uno dei lati positivi dello studio di uno strumento, ad esempio, è quello di insegnare a dare un altro valore al tempo: per imparare a suonare ci vogliono, mesi, anni di ripetizioni, lentezza e pazienza. Questo è esattamente il contrario della vita frenetica a cui vengono indirizzati molti bambini, che non imparano quindi a dare valore ad ogni momento della loro vita, ad avere pazienza, ad aspettare, ad ascoltare, ma solo ad aspettarsi che tutto inizi e finisca in fretta, che tutto sia loro dovuto e si realizzi subito, e che il mondo corra sempre più veloce.



Uno dei problemi, secondo me, nasce proprio dalla scuola che, allo stesso modo, non stimola il desiderio di apprendimento dei bambini ma lo mortifica, obbligando gli insegnanti a svolgere il programma il più in fretta possibile senza puntare su attività interessanti e motivanti, ma tenendo solamente i bambini seduti ad un banco ad annoiarsi per molte ore al giorno. Questo incoraggia ancora di più i genitori a cercare per i figli attività esterne che li interessino veramente, e che insegnino loro qualcosa che non sia teoria, ma d'altra parte fa sì che i bambini siano ancora più impegnati, tra compiti e tutto il resto.

Una soluzione, a mio parere, potrebbe essere quella di scegliere meno attività (una o due al massimo) ma insegnando al bambino ad impegnarsi davvero in esse, seguendolo personalmente in ciò che fa, essendo più coinvolti e dedicando del tempo al figlio durante lo svolgimento di quell'attività.



La scelta iniziale può essere effettuata in base a quelle che sembrano essere le inclinazioni del proprio figlio (ma che, in realtà, dipendono in grandissima percentuale dagli stimoli che gli vengono forniti in famiglia, se il bambino è piccolo), ma poi dovrebbe essere del genitore.

Come ho detto più volte, non ha molto senso chiedere ad un bambino di tre anni cosa voglia fare ed aspettarsi una risposta decisa ed inequivocabile, perchè i bambini faticano a compiere scelte così importanti, ed inoltre, come del resto anche noi adulti, cambiano spesso idea, vogliono provare tutto, e magari un giorno vorrebbero svolgere un'attività ed il giorno successivo l'altra.

Quindi, il genitore dovrebbe compiere lui una scelta, prendere una decisione ed attenersi ad essa, senza cercare attività diverse dopo ogni estate, ma lavorando insieme al bambino affinchè un'attività venga portata avanti almeno per qualche anno, per dare un senso ed un significato educativo e profondo a quella scelta.

Fotografia di Margherita, mamma di Artemisia


E quindi ritorniamo a parlare del tempo : un genitore ed un bambino rilassati riusciranno ad apprezzare ogni esperienza che vivono, a concentrarsi di più su quello che il bambino sta imparando ed a dare veramente valore a quell'apprendimento.

Solo in questo modo l'apprendimento sarà effettivo, le emozioni associate ad esso saranno positive e non connotate da stress, stanchezza mentale e sensazione che il tempo non basti mai, ed il bambino avrà ricevuto insegnamenti importanti per la sua vita futura, tra i quali come impegnarsi davvero in quello che fa, come apprezzare ciò che sta facendo ed anche come organizzarsi, senza però dover realizzare l'impresa impossibile di comprimere tanti impegni in un tempo troppo breve.

Un tempo di vita più lento, permette, inoltre, di imparare a fermarci ad ascoltare noi stessi e gli altri, cosa che personalmente cerco di insegnare sempre ai miei allievi di violino.

Un giorno, infatti, dopo una lezione di orchestra, Artemisia, 3 anni, ha detto alla mamma "Oggi abbiamo fatto una cosa molto importante.... che è ascoltare"

Vorrei dire dunque ai genitori: non private i vostri bambini della possibilità di imparare a dare valore al tempo, alla pazienza, all'attesa ed alla capacità di ascolto. Cercate di invertire la rotta del mondo di oggi che si aspetta di vederci sempre di corsa, impegnati e stressati... provate a dare ai vostri figli un futuro diverso, e migliore del vostro presente. Pensateci prima che sia troppo tardi.










mercoledì 11 settembre 2019

L'improvvisazione in musica: apprendimento o ispirazione?

Guardando alcune interviste ad attori e personaggi televisivi ho iniziato a riflettere sul concetto di improvvisazione.
Il senso comune, infatti, pensa che molte attività artistiche siano frutto dell'improvvisazione: noi musicisti ci sentiamo chiedere molto spesso " Ma quando suoni improvvisi? Sei capace di vedere per la prima volta un pezzo e suonarlo, oppure lo improvvisi sul momento?" E la stessa cosa viene chiesta agli attori o in generale alle persone che svolgono professioni in cui ci sia un pubblico, come se tutto il nostro lavoro fosse dato dall'ispirazione, da qualcosa di magico ed inafferrrabile, difficile da definire, che arriva all'improvviso e rende possibile determinate performance.




Anche nella didattica, chi non è del mestiere, o chi segue certi approcci, tra i quali alcune scuole di musicoterapia, pensa che produrre suoni a caso con uno strumento qualsiasi possa esssere definito improvvisazione, e possa addirittura essere terapeutico "per buttare fuori le nostre emozioni e per esprimere noi stessi".

Oppure chi vede insegnare attività artistiche, o anche sportive, immagina che l'insegnante stia "improvvisando", inventando al momento una lezione adatta a quel bambino in base all'ispirazione del momento.

In tutti i casi che ho citato, invece, non è così.

L'improvvisazione, in alcune attività, è largamente sopravvalutata, ed è la spiegazione che viene data quando vediamo performance che non riusciamo a comprendere e che ci sembrano molto complesse e quindi difficili da ottenere, o , al contrario, talmente semplici ed ovvie da poter essere state soltanto ideate sul momento.



Al contrario, nelle attività di un certo livello l'improvvisazione rappresenta, prima di tutto, una parte molto limitata di ciò che vediamo, ma soprattutto è il risultato di una lunga e meticolosa preparazione precedente, in modo che, in un secondo momento, tutto ciò che abbiamo studiato, imparato e preparato possa confluire in un'esecuzione talmente chiara e fluida da sembrare inventata lì per lì.

La creatività ovviamente c'è, ma è una competenza che entra in gioco in un secondo momento, quando sappiamo padroneggiare tutti gli strumenti tecnici per una performance e siamo quindi libri di aggiungere il nostro tocco personale.

Nessun musicista improvvisa al momento ciò che suona, come nessun attore recita senza aver prima studiato, ed anche l'improvvisazione vera, in cui si suona o si recita senza "copione", è il risultato dell'applicazione di regole apprese che vengono poi "rimescolate" e riapplicate in un nuovo contesto ed in combinazione talvolta originali, ma che nascono comunque da uno studio approfondito di ciò che stiamo andando a fare.




Alla fine, proprio chi è più preparato sembra improvvisare maggiormente, perchè quello che fa è talmente spontaneo da sembrare creato al momento, ma in realtà è estremamente pensato e preparato da dar luogo ad un'estrema facilità e libertà nell'esecuzione.

Come ho letto in un libro, si tratta di " ricordare per poter dimenticare"ciò che abbiamo appreso, ma per ricordare e dimenticare bisogna prima imparare, altrimenti cosa dimentichiamo??7



Come accennavo prima, la stessa cosa avviene anche nella didattica dello strumento, sia per l'allievo sia per l'insegnante.

Durante le mie lezioni a volte lascio che i bambini giochini con lo strumento, ma facendo in modo che siano consapevoli di stare giocando e non esprimendo sè stessi o improvvisando. Se, invece, decido di insegnare loro ad improvvisare, allora ci lavoriamo, in modo che, più avanti, essi possamo comporre o inventare brani loro, esprimendo allora davvero la loro creatività e personalità. Ma senza apprendimento stutturato non si va da nessuna parte, ed io non credo che, come succede ad esempio nella musicoterapia, un bambino che fa rumore a caso con uno strumento stia esprimendo le sue emozioni... al massimo si starà "sfogando", ma in modo aspecifico e senza nessun vero obiettivo nè apprendimento utile per la sua vita. Che senso ha, dunque?

Non che sia vietato giocare, ma mi sembra inutile farlo in un contesto dal quale è possibile venire arricchiti in ben altro modo da un professionista del settore.




Anche quando insegno potrebbe sembrare che io improvvisi, e talvolta è vero, nel senso che sono un'insegnante molto flessibile e che segue il più possibile la motivazione e gli interessi dell'allievo. Quindi non sempre preparo un piano di lezione dettagliato, o anche quando lo preparo non riescco a seguirlo quasi mai, e lo tengo solo come "canovaccio" per ricordarmi in che direzione sto andando e quali sono gli obiettivi di quella sessione di lavoro.

Ma questo è frutto, prima di tutto, di 10 anni ("non ufficiali" anche 20...) di esperienza sul campo, in molti ambiti diversi e con allievi di tutti i livelli e tutte le età- anche se prevalentemente principianti molto piccoli-, poi di un lungo esercizio e tanto studio. Ho studiato e continuo a studiare metodi, approcci, leggo, seguo lezioni di altri insegnanti anche a livelli molto alti, mi specializzo, e poi tutto confluisce ogni volta in una singola lezione che può sembrare inventata di sana pianta.

E sono convinta che, riprendendo il paragone con un attore, l'insegnante debba "ricordare per poi dimenticare" ciò che ha studiato, essere in grado di motivare e seguire gli spunti e le passioni dell'allievo, ed essere sempre "nel momento", concentrato su ciò che sta facendo, proprio per riuscire ad applicare una determinata tecnica didattica nel modo più fluido possibile.


Da questa analisi mi sembra chiaro come ciò che le persone considerano improvvisazione sia, in realtà, il risultato di un lavoro vasto ed approfondito che porta, alla fine, alla famosa ispirazione di cui si parla tanto spesso. Dunque non è l'ispirazione che rende possibile suonare, comporre, recitare, imparare o insegnare, ma la tecnica produce ispirazione, espressione di sè e performance di successo grazie ai contenuti da noi appresi e rielaborati.

Non è che questo renda meno "artistiche" certe professioni o tolga "magìa" a ciò che facciamo, ma anzi la rende possibile e ci permette di essere davvero liberi di esprimere noi stessi.