Studiare uno strumento da piccoli è un'esperienza importante e meravigliosa, ma tuttavia non semplice, perchè un bambino di 3-4 ma anche 8 anni non riesce ancora ad essere autonomo nel lavoro a casa, ed è per questo che nel metodo Suzuki la famiglia riveste un ruolo fondamentale.
I corsi del metodo tradizionale prevedono la presenza del solo allievo a lezione, addirittura anche nei corsi di propedeutica proposti a bambini tra i 3 ed i 6 anni, nella convizione che il percorso musicale debba essere un'esperienza "del bambino", che tuttavia in questo modo rimarrà per forza di cose confinata all'ora settimanale di lezione, e quindi non produrrà apprendimento, o nel migliore dei casi darà risultati di apprendmento molto lenti, approssimativi e di scarso impatto sulla vita del bambino.
E' ovvio che con i piccoli si debba trovare un equilibrio ottimale tra obiettivi di percorso e di performance, argomento che sto studiando durante il master in Psicologia dello sport e della performance e che trovo molto interessante. Quindi non si può pensare di voler crare "piccoli geni" che suonano Paganini a 4 anni a discapito della serenità e del benessere dell'allievo, perchè sarebbe poco etico, forzato ed a lungi termine anche dannoso, ammesso che il bambino continui a studiare strumento in futuro.
Però a mio parere non è neppure infattibile porsi obiettivi di performance anche piuttosto elevati ed in bambini piccolissimi (i miei allievi iniziano a suonare a 2/3 anni), a patto che lo scopo del nostro lavoro sia quello di stimolare in loro la passione, l'entusiasmo ed il benessere, vivendo la musica come un momento di gioco e divertimento, ma al tempo stesso imparando al massimo delle loro possibilità, che a quell'età sono virtualmente infinite e vanno solamente tirate fuori e sviluppate.
Sì, ma come fare a far apprendere un bambino piccolo senza essere coercitivi, senza obblighi, imposizioni e forzature, ma al tempo stesso ponendosi obiettivi elevati?
La mia risposta è la seguente: per prima cosa, è fondamentale coinvolgere e formare la famiglia, che va seguita ancora di più del bambino e va educata a comunicare con lui in modo positivo, ad essere serena, tranquilla e propositiva ma senza permettere che il bambino percepisca su sè stesso aspettative di alcun tipo, se non la fiducia nelle sue capacità e la disponibilità da parte dell'adulto di seguirlo e supportarlo sempre, al di là dei suoi risultati ed indipendentemente da eventuali crisi, difficoltà o errori.
Poi va strutturato un programma di lavoro chiaro ed individualizzato sul singolo allievo, da applicare sia durante la lezione, alla quale parteciperà sempre il genitore- almeno fino ai 10/11 anni- anche se con un ruolo che evolverà nel tempo, sia durante lo studio a casa. Lo studio a casa dovrà essere quotidiano, breve ma efficace, strutturato e motivante, secondo un programma di studio proposto dall'insegnante ma concordato con la famiglia e, per gli allievi più grandi (dai 6/7 anni) con il bambino, che sia dettagliato nei tempi e nelle modalità, basato sugli interesse dell'allievo e realistico in base al contesto in cui dovrà essere realizzato- caratteristiche dello studente e della famiglia, impegni del genitori, presenza di fratelli o altro parenti, impegni scolastici ecc...
Nel mio caso, io insegno specifiche tecniche provenienti dalla mia formazione come psicologa e tecnico del comportamento, mirate ad incrementare motivazione e collaborazione del bambino con il genitore.
Per il resto, una volta che l'adulto sarà preparato, il bambino lo seguirà di conseguenza. I bambini piccoli non hanno paure o ansie da prestazione se non si insegna loro ad averle, ma provano qualsiasi cosa venga loro proposta con l'approccio corretto e si divertono a sperimentare, lavorare con impegno e serietà, ripetere all'infinito e raffinare i dettagli. Vanno solo educati a farlo, ma, se ci si riesce, loro non si pongono limiti... siamo noi adulti, semmai, a frenarli pensando che una determinata proposta sia troppo elevata, troppo avanzata o troppo complessa.
Ultimamente credo che la tecnica pura sia di grande utilità fin da piccoli, dunque a 3-4 anni i miei allievi studiano scale, arpeggi, colpi d'arco, esercizi tecnici per l'arco e per la mano sinistra, pizzicato, armonici, e poco dopo doppie corde,, cambi di posizione, posizioni fisse, studi e tecnica che può sembrare "arida", ma non deve esserla per forza. Se gli esercizi vengono presentati come gioco, come un esperimento divertente e quasi magico per esplorare le potenzialità dello strumento e per suonare "come i grandi", i bambini li affrontano volentieri e non hanno paura di non riuscire, lo fanno e basta, provano e riprovano e se non riescono si fanno una bella risata!
Proprio perchè se noi adulti, insegnante e genitori, comunichiamo loro che l'errore è parte del processo di apprendimento e che a noi non importa quante volte sbaglieranno, ma solo se si impegneranno e divertiranno, allora i piccoli non si porranno nessun limite, e grazie a questo la loro autostima crescerà e si rafforzerà ogni giorno di più.
Accontentarsi di un'impostazione approssimativa, di esecuzioni lacunose e di uno studio impreciso e superficiale a mio parere non ha senso e non rende giustizia alle potenzialità dei bambini , perchè li sottovaluta e non stimola la loro curiosità ed il loro bisogno di apprendere e di sentirsi capaci.
Io pretendo sempre il massimo ma i miei allievi non lo sanno, eppure provano a raggiungerlo!
Escludere i genitori da questo processo non è mai la soluzione, ma invece si può lavorare insieme con serenità, costanza e senza stress per nessuna delle parti coinvolte, ma aiutando il bambino ad aggiungere ogni giorno un tassellino in più alle proprie competenza ed un mattoncino in più alla piramide che quotidianamente costruisce grazie alla crescità delle proprie abilità, con gioia, ma anche con impegno e fiducia.
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