giovedì 17 dicembre 2020

Insegnare è una questione di equilibrio

A fronte degli insegnanti di cui ho parlato più volte su questi blog, quelli rigidi, autoritari e inutilmente severi, ce ne sono anche molti che hanno un approccio rinforzante e basato sulla comunicazione positiva,sulla gentilezza e sul rispetto del bambino.

A volte, però, anche questo atteggiamento, senza dubbio auspicabile, viene portato un po' all'estremo, diventando quasi iperprotettivo nei confronti dei bambini, ai quali si chiede poco e nei confronti dei quali si ha quasi paura di essere troppo invasivi o decisi. A volte osservo, infatti, una tendenza ad abbassare molto le richieste di confronti degli alunni, chiedendo loro il minimo indispensabile e cercando di preservarli da errori, difficoltà e frustrazioni, proprio per non incorrere nei comportamenti autoritari di cui sopra.

A maggior ragione, se il bambino ha difficoltà o disabilità si fa in modo di ideare per lui obiettivi più bassi possibili, per "proteggerlo" da un eventuale "fallimento" e dalla conseguente frustrazione. Questo succede anche nel mio campo, quello della didattica musicale, ed anche con bambini che non hanno difficoltà: se il bambino "non se la sente" di suonare in pubblico, gli viene permesso di non farlo; se è timido, viene esonerato dall'orchestra fino a quando non sarà "pronto"; se non si impegna non gli si dice di studiare di più, perchè potrebbe rimanerci male.



Se poi un bambino è, magari, nello spettro autistico, allora l'importante sembra essere il "rispetto della sua identità", e quindi può suonare con un'impostazione sbagliata, mettere in atto stereotipie e comportamenti problema (perchè è il "suo modo di esprimersi"), scappare via, e quant'altro, perchè dargli regole e richiedergli precisione ed impegno equivarrebbero a "non rispettare la condizione autistica " ed a "volerlo cambiare, facendolo diventare diverso da quello che è".

Ma, al pari dell'atteggiamento autoritario, anche quello permissivo ha i suoi limiti.

Come ho detto più volte, un insegnante non è un genitore che, in virtù del suo totale coinvolgimento emotivo, può comprensibilmente essere iperprotettivo e troppo attento, ma, al contrario, è un professionista, e quindi  dovrebbe essere in grado di separare le proprie emozioni dal lavoro che sta svolgendo, per mettere al centro il bambino e non sè stesso.


Insegnare agli allievi maggiori competenze e dare loro strumenti per far fronte alle richieste della vita quotidiana, dunque, non vuol dire non accettarli per ciò che sono, ma, al contrario, diventare per loro insegnanti di vita prima che di qualsiasi altra materia. Insegnare e dare maggiori strategie non vuol dire non accettare il bambino come persona, ma, anzi, dargli la possibilità di diventare in futuro una persona più serena, capace e realizzata.

Un bambino che ha comportamenti aggressivi o pericolosi, che comunica in modo inadeguato non va "accettato nelle sue modalità di comunicazione", ma va aiutato a trovarne altre più funzionali. Un bambino che ha difficoltà comunicative, linguistiche, cognitive o emotive non va lasciato da solo ad affrontarle, ma supportato affinchè possa superarle. Troppo facile dire "crescerà... imparerà da solo... con il tempo troverà soluzioni più efficaci..."... certo, intervenire è più faticoso, perchè bisogna sapere come fare, ma è il nostro lavoro. I genitori possono, se vogliono, predicare l'efficacia di una presunta "crescita naturale", senza proposte, richieste o aspettative; noi, da professionisti, no.

Nella didattica musicale il discorso è lo stesso.

Ho già parlato in più articoli della differenza tra il mio lavoro, didattico, e la musicoterapia, ma ancora una volta mi piacerebbe ricordare che trattare i bambini autistici, o con disabilità, come "essere magici e speciali che vivono in un loro mondo fatato" (che ci crediate a no, questo è l'atteggiamento di molti professionisti) non rende loro giustizia,non li aiuta ed è un modo come un altro per discriminarli e non avere rispetto per loro.

Empatia, entusiasmo e capacità di comunicazione sono fondamentali, ma con equilibrio, senza lasciare che le emozioni guidino il nostro operato in modo incontrollato, ma avendo prima chiari modalità di lavoro, obiettivi e strategie, proprio perchè insegnare è una professione, non un hobby che può essere coltivato facendosi guidare unicamente dal cuore e dalla passione, e richiede molto, molto altro.

In conclusione, quindi, come ho detto più volte, anche gli allievi con disabilità e difficoltà sono prima di tutto bambini come gli altri (e non sono "speciali" in virtù delle loro difficoltà) e soprattutto possono imparare come gli altri, con i loro tempi, certo, ma timore, insicurezza ed iperprotezione nei loro confronti non portano da nessuna parte. Di certo non li aiutano e possono, addirittura, impedire loro di raggiungere i risultati che potrebbero avere, perchè un atteggiamento già sconfitto in partenza equivale al porre davanti al bambino ostacoli insormontabili che, in realtà, non esistono se non nella nostra mente.